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Le piante officinali godono della presenza di uno o più principi attivi che agiscono sull’organismo per il trattamento di precise patologie. Spesso l’assunzione attraverso l’alimentazione di questi principi attivi non è sufficiente per garantirne l’efficacia. Gran parte delle erbe officinali, infatti, sono anche degli ottimi alleati in cucina per insaporire e aromatizzare alcuni pianti, si prendano come esempio la menta, l’ortica, la liquirizia e tante altre. La cottura dei cibi, però, spesso fa perdere quelle proprietà fondamentali per cui se si desidera assumerle è consigliabile che le piante siano trattate diversamente. Esistono diversi modi per estrarre i principi attivi dalle piante officinali, questi procedimenti danno luogo a degli estratti acquosi, alcolici, glicerinati e altri ancora a seconda del tipo di solvente si utilizza.
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I procedimenti di estrazione possono dar luogo agli estratti secchi che possono divenire estratti secchi titolati se si rispettano alcuni importanti requisiti. Per estratto secco si intende la parte più concentrata del principio attivo che assume la forma di una leggera polverina. La polverina in questione è il principio attivo slegato dagli altri componenti che convivono all’interno di una pianta officinale ma che non sono utili in quanto sostanza con proprietà terapeutiche. Quando si estrae il principio secco si è effettuata un’operazione ben precisa. Si è isolata la sostanza utile da tutte le altre e la si è estratta e trasformata in polvere. In questo modo eventuali sostanze pur presenti all’interno di una pianta officinale, ma comportanti effetti collaterali vengono estromesse dal processo di estrazione.
L’estratto secco assume la dicitura di estratto secco titolato solo se vengono rispettati alcuni requisiti fondamentali. Un estratto secco, infatti, può divenire titolato solo se viene lavorato correttamente, nella giusta stagionalità, se la pianta è cresciuta nel proprio habitat e sono state seguite tutte le fasi della sia crescita in maniera corretta rispettando tutte le sue esigenze. Divenuto estratto, esso deve essere conservato opportunamente e presentare soltanto elementi autorizzati. Solo se questa rigida successione di operazione è eseguita correttamente l’estratto secco titolato è autorizzato ad essere utilizzato in diverse procedure per la realizzazione di prodotti farmaceutici o erboristici. È importante non confondere la semplice polverizzazione del principio attivo con l’estratto secco titolato che pure si presenta come una sottile polvere, così come illustrato precedentemente. Nel primo caso, la pianta officinale viene polverizzata in maniera meccanica, mentre nel secondo, vengono utilizzati dei solventi per l’estrazione del principio attivo.
Gli estratti secchi titolati derivano da processi alquanto complessi che interessano la droga e delle sostanze solventi utilizzate per estrapolare, come già si è visto in altre sedi, i principi attivi delle piante. Uno dei processi, vede la completa evaporazione del solvente. In questo caso la temperatura non supera i cinquanta gradi centigradi e ciò avviene in quanto si vogliono preservare i principi attivi e non si vuole che si verifichino dei cambiamenti nella loro composizione. La quantità del principio attivo, ovvero dell’estratto secco presente nei prodotti farmaceutici o erboristici non deve essere assolutamente un dato casuale. Il quantitativo, infatti, è stabilito dalla Farmacopea. Esso è definito in base all’efficacia del prodotto, infatti, si stima che se le dosi sono maggiori o minori la validità del farmaco potrebbe essere compromesso. La titolazione del principio attivo, dunque, fa si che esso sia presente in maniera standard in un dato prodotto. La somministrazione di estratti secchi titolati deve essere predisposta dal proprio medico curante nella modalità e nelle dosi da lui indicate, onde evitare l’insorgere di effetti collaterali, anche gravi.
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