Atropa belladonna

Caratteristiche della pianta

Atropa belladonna L., nome scientifico e nome comune di una delle piante più intriganti ma anche velenose che esistano. Pianta amata dalle donne dei secoli scorsi perché facevano risaltare la bellezza dei loro occhi, ma anche tanto velenosa da venir chiamata come la divinità greca che metteva fine alla vita degli uomini, Atropos.

È una pianta erbacea perenne che fa parte della Famiglia delle Solanacee, la stessa della patata, e che è nota per l’alta concentrazione di alcaloidi, quali scopolamina e josciamina.

Con il suo fusto ramificato raggiunge a mala pena il metro di altezza.

Le foglie sono ovali ellittiche, con piccolo picciolo e con un margine intero.

I fiori regolari sono di color viola, siti in dei peduncoli solitari all’ascella delle foglie.

Il frutto è una bacca globosa, succulenta e di colore nero lucente, molto simile ad una ciliegia o ai mirtilli.

In inglese è chiamata comunemente deadly nightshade (ombra mortale della notte) o devil's cherries (ciliegie del diavolo); quest’ultimo è anche il nome che viene usato per indicarla in lingua francese. In tedesco è la tollkirsche, mentre in spagnolo è detta solano furioso o belladama.

Comunque se vi riferite a lei semplicemente come Atropa o belladonna, vi capiranno tutti gli addetti poiché questo suo nome è entrato nella terminologia mondiale.

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Coltivazione e origine

Se si coltiva l’Atropa belladonna bisogna tener conto che il prezzo di vendita viene determinato a seconda della quantità di alcaloidi presenti, per cui è essenziale che la coltivazione avvenga nella maniera più omogenea possibile e nelle miglior condizione, in modo tale da poter ottenere il massimo ricavo.

È stato accertato che un terreno leggero, permeabile e calcareo è il più adatto per questa coltura. Si hanno risultati particolarmente buoni, per quanto riguarda la percentuale elevata di alcaloidi, con le colture poste ad un altitudine di 300 a 600 metri, anche se si può scendere al livello del mare dove il terreno è calcareo, soprattutto quando vi è un buon drenaggio e una sufficiente quantità di ombra.

Se il terreno è davvero povero e inadatto, o le piante sono deboli, la coltura può essere aiutata con l’uso di letame o una miscela di nitrato di soda, fosforo e potassio.

I semi piantati in autunno non germinano sempre, è quindi consigliato a seminare al coperto, in scatole, e ai primi di marzo bagnare con acqua piuttosto calda per distruggere eventuale presenza di piccole lumache e insetti vari. Pezzi di gesso o calce possono essere collocati nella parte inferiore delle scatole.

Prima di porre le piantine a dimora, il terreno va ripulito da tutte le sterpaglia, magari bruciandole e rimescolando il tutto e lasciarlo riposare. Dopo un paio di giorni, si procede con la livellatura e una abbondante annaffiatura con acqua bollente. Si lascia riposare ancora finché non si asciuga e diventa friabile; aggiungere sabbia grossa in superficie per garantire un buon drenaggio, rastrellare e livellare nuovamente, e quindi procedere alla semina superficiale dei semi.

Le piantine devono essere pronte per la messa a dimora quando non vi è più alcun timore di gelo, e durante la germinazione è necessario un certo grado di umidità.

Prima di tutto, rifiuti deve essere bruciato sul terreno, il terreno messo a terra e licenziato in tutto, tutti i tipi di rifiuti vegetali bruciati in lavorazione trovi quindi a fondo mescolare il terreno e lasciarlo grezzo per un paio di giorni in modo che l'aria e il sole permeato bene. Poi il livello e rastrello il letto bene e, infine, fare un infradiciare approfondita con acqua bollente. Lasciate riposare fino a secco e friabile, aggiungere sabbia tagliente graniglia sulla superficie, spoglia di nuovo bene e poi seminare il seme molto sottili.

Parti utilizzate

Sebbene per lunghi periodi siano state le bacche le principali parti utilizzate di questa pianta, a oggi solamente le foglie e le sommità fiorite vengono sfruttate e con l’esclusività della produzione di atropina (anche se in modi casi si preferisce produrla in laboratorio per via sintetica).

tecniche di raccolta

La raccolta delle foglie avviene per mezzo dei macchinari automatici, che in base al settaggio possono tagliere a diversa altezza. In alcuni casi posso essere tarati per un taglio quasi radente al suolo per raccogliere la pianta nella sua interezza.

Nel caso si volessero prelevare solamente le bacche, cosa piuttosto rara, allora si adoperano dei macchinari forniti di particolari “pettini” che vengono passati tra le foglie, che passano indenni, mentre trattengono i frutti.


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Proprietà e uso nella storia

Quando Linneo la classificò, volle darle un nome che richiamasse subito la sua ben nota velenosità, e Atropa fu un nome azzeccato, che richiama dalla mitologia Atropo, una delle tre sorelle che decidevano la durata della vita dell’uomo. In modo particolare, Atropo, era quella che recideva il filo della vita determinando la morte dell’individuo.

Attraverso degli scritti medici che ne descrivono gli effetti velenosi, si apprende che nel 1580 circa, gli scozzesi riuscirono ad avere la meglio contro gli invasori danesi proprio perché a questi, durante una tregua, fu offerto del liquore in cui erano state messe a macerare delle bacche di belladonna e quindi furono facilmente sopraffatti e uccisi nel sonno dagli scozzesi.

Il nome belladonna, invece, deriva dalla consuetudine delle donne di utilizzare le bacche di questa pianta per dare splendore al proprio viso. Nei secoli XV e XVI usavano il succo delle bacche per curare la pelle del viso, ma soprattutto per far esaltare gli occhi, in quanto una sostanza in esse contenute, l’atropina, dilata la pupilla, dando l’impressione di una maggiora grandezza degli occhi, all’epoca segno di vanità.

Il succo delle bacche, però, è stato usato anche per scopi tintori. Infatti l’immersione dei tessuti nel suo macerato, tingeva le stoffe di un bel colore verde.

Nel 1800 circa, a causa di una massiccia intossicazione tra i soldati, fu possibile per i medici determinarne gli effetti tossici: convulsione, vertigini, inebriante e allucinatoria.

descrizione dei principi attivi:

Nell’Atropa belladonna sono stati isolati molti componenti tossici, che però, usati saggiamente, sono risultati ottimi alleati della medicina. Gli alcaloidi sono la principale e più abbondante classe di principi attivi che sono stati isolati. In modo particolare si riscontrano elevate dosi di josciamina e scopolamina, le quali poi si trasforma in atropina. In particolare 80-90% è L-josciamina, contenuta in tutte le parti della pianta, che una volta essiccata si trasforma, come detto, in atropina.

Altri composti presenti nella pianta non sono particolari e si possono riscontrare anche in altre specie; troviamo dunque flavonoidi, tannini, zuccheri e curarine.


Atropa belladonna: Benefici e avvertenze

Il beneficio maggiore derivato dalla Belladonna è quello della scoperta e uso medico della atropina, sostanza capace di dilatare la pupilla dell’occhio per un più attento esame oculistico.

Purtroppo la pianta non ha applicazioni pratica in erboristeria, anzi ne è vietato l’utilizzo data la sua alta tossicità.

Prodotti in commercio

In commercio ci sono molti prodotti oculistici a base di atropina, ma raramente questa è derivata ed estratta dalla belladonna. Si preferisce produrla in laboratorio.

Prodotti erboristici e cosmetici contenenti anche sole minime tracce di Atropa belladonna sono fuori legge per cui non sono reperibili.

Controindicazioni

Pianta tossica il cui avvelenamento può portare alla morte se non tempestivamente trattato.

Avvertenze

La pianta è altamente tossica tanto che il Ministero della Saluta ne ha proibito l’uso in campo erboristico e alimentare. Gli unici autorizzati a poterla utilizzare sono i medici, mentre i farmacisti sono i soli che la possono commercializzare, solo ed esclusivamente sotto ricetta medica che ne indichi dosaggi e frequenza di assunzione. C’è anche da dire che però non viene mai prescritta.

Le bacche, anch’esse mortali, possono essere scambiate dai bambini come frutti di bosco o mirtilli.


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